Intervista a Francesco Bianconi, cantante e leader della band
che ha avuto il riconoscimento al disco dell'anno del premio Tenco
Baustelle, la band "giovane dentro"
che mette d'accordo critica e pubblico
"Speriamo di gettare dei semi nei nostri fan adolescenti"
di LUIGI BOLOGNINI
SANREMO - Succede di rado (il Bennato del Gatto e la volpe, il Vecchioni di Samarcanda) che qualcuno sia capace di unire pubblico, giovani compresi, anzi soprattutto loro, e critica nell'approvazione, di spopolare in radio, tv e concerti. E' successo ai Baustelle con uno dei tormentoni del 2008, Charlie fa surf, adorata proprio dagli adolescenti che irride. Ma c'è tantissimo altro, nell'album Amen: anche canzoni eloquenti fin dal titolo, come Baudelaire e Il liberismo ha i giorni contati. Sono stati gli unici a fare sempre il pieno, in un'estate all'insegna della crisi della musica live. Ed è più che meritato il premio di disco dell'anno che il trio di Montepulciano trapiantato a Milano ha ritirato venerdì a Sanremo nel corso dell'edizione numero 33 del Premio Tenco, la rassegna della canzone d'autore italiana.
Francesco Bianconi, cantante e leader della band, sembrate tutto e il contrario di tutto: cantate per i ragazzini come per gli amanti del cantautorato, fate musica molto elettronica nel disco, poi però sul palco del Tenco vi siete presentati con un quartetto d'archi.
"E' che abbiamo molte influenze, ovvero molte passioni personali diverse. Io amo più i cantautori francesi e Piero Ciampi, che adoro per il connubio tra le musiche cinematografiche e jazzate e la voce scontrosa. Rachele Bianconi, voce e tastiere, e Claudio Brasini, chitarra, sono più rock. Amen è un disco elettrico e molto barocco, pieno di arrangiamenti ed effetti speciali. Quando abbiamo fatto i concerti abbiamo naturalmente dovuto asciugare la musica, eliminare molte sfumature. Adesso l'abbiamo ridotta all'osso, con un quartetto d'archi, lasciando che emerga la musica. Tra l'altro ci sembrava una soluzione molto adatta all'atmosfera raffinata che si respira al Tenco".
Siete arrivati giovani al successo...
"Alt. Ringrazio per il giovane, ma io ho 35 anni e mi sento un signore di mezza età. Al limite siamo giovani dentro, cioè riusciamo ancora a interessarci a quello che accade, ad aver voglia di raccontarlo, di cantarlo, di farci capire".
Giovani o non giovani, siete arrivati al successo improvvisamente, dopo una lunga gavetta e dischi apprezzati ma di nicchia, come Sussidiario illustrato della giovinezza e La malavita. Come si sopravvive?
"A stento, è successo tutto così in fretta. Bisogna avere dell'equilibrio personale interiore ed è una dote di cui non sono molto fornito. Battute a parte, sono felice perché la nostra aspirazione è essere ascoltati e apprezzati da più gente possibile, non siamo di quelli che sono contenti con poco pubblico, ma di qualità. E tutto sommato abbiamo incontrato fan buoni, che si limitano a un saluto o a una richiesta di autografo, cosa a cui Rachele non si è ancora molto abituata: quando la fermano è lei che ringrazia chi le domanda una dedica e non viceversa. Certo, un po' più di calma nell'ascesa sarebbe stata meglio. Ma non siamo di quelli che si illudono per il futuro, non pensiamo di aver conquistato nulla".
Charlie fa surf racconta dello spaesamento dei quindicenni tra droghe, videoclip e sesso facile, e i giovani non ne escono bene. Eppure l'hanno amata. Come mai?
"Me lo sono chiesto anche io, la cosa mi ha davvero sorpreso".
Forse non l'hanno capita?
"No, non credo. I ragazzi non sono stupidi come qualcuno li dipinge. Credo che sia una di quelle canzoni che a istinto ti piace, che magari non comprendi fino in fondo nei riferimenti, ma che intuisci voglia dire qualcosa, il cui senso emerge dopo ascolti su ascolti. Mi capitò la stessa cosa con La voce del padrone di Battiato. Ero bambino e parole come "lo shivaismo tantrico di stile dionisiaco" per me non avevano senso. Ma la canzone mi piaceva da matti: il seme era stato gettato dentro di me e qualche frutto lo ha dato. Forse sarà così anche per Charlie fa surf e i ragazzini di adesso: magari qualcuno si sentirà preso in giro da una canzone che non capisce, ma intanto inizierà a pensare".
Siete pessimisti come sembra in Amen, una costante riflessione sulla perdita della bellezza?
"Diciamo che non vediamo mai la parte piena del bicchiere. In generale è una riflessione su tutte le perdite di questo periodo: della bellezzza, ma anche dell'etica, delle regole, dei limiti. Ormai ci si accontenta sempre al ribasso. Non sono bei tempi".
Ma siete stati anche profeti: Il liberismo ha i giorni contati.
"Noi lo cantavamo per contrasto, cioè per dire che in realtà il liberismo era imperante. Quello che poteva preannunciare il crac delle Borse era proprio quel che diciamo nella canzone: la perdita dell'etica, del valore della persone, la disperazione - umana e finanziaria - in cui tanta gente è stata buttata dall'economia. Il crollo è stato prima morale che finanziario".
Che rapporto avete con Internet?
"Basti dire che il testo di Darkroom è nato tutto via email. La poetessa Francesca Genti ci scrisse che voleva comporre un testo per noi. Ci mandò delle cose, noi le spedimmo una musica e iniziò un lungo carteggio elettronico con continue proposte, correzioni, puntualizzazioni e idee da parte di tutti. Ci siamo visti di persona solo quando la canzone era già incisa".
(9 novembre 2008)
fonte: la repubblica.it