Matteo D’Alonzo, giovane segretario del circolo del PD del quartiere di Shangay, a Livorno, ha fondato un gruppo su Facebook che si intitola “No alla legge 1360, no all’equiparazione di partigiani e repubblichini“. Ho accettato con convinzione l’invito a parteciparvi e ho scritto questo primo intervento:
“E’ un patetico tentativo di confondere e di modificare la storia. Il regime fascista per 22 anni ha oppresso tutte le libertà (di espressione, politica, artistica) e ha esercitato la violenza contro chi rifiutava di assoggettarsi. Ha trascinato l’Italia in guerre coloniali, che hanno causato stermini presso popolazioni africane e il cui conto, in parte, stiamo pagando adesso. Ha associato l’Italia a uno dei regimi più terribili della storia dell’umanità, l’ha costretta a combattere stando dalla parte sbagliata e l’ha portata alla rovina. Ha tradito migliaia di suoi cittadini ebrei e ha punito chi li aiutava. Ha costretto la mia famiglia a lasciare il suo paese, la sua casa e il suo lavoro e ha obbligato mio padre a nascondersi nei boschi. Ha represso la creatività e le piccole libertà a cui aspira ogni bambina, ogni bambino. Ha inculcato simboli di morte, ha esercitato umiliazioni fisiche e morali. Non lasciamoci confondere.”
Quello che segue è il “manifesto” del gruppo:
La destra ci riprova: leggete alcuni passaggi del disegno di legge e fatevi un’idea!
“L’istituzione dell’«Ordine del Tricolore» deve essere considerata un atto dovuto, da parte del nostro Paese, verso tutti coloro che, oltre sessanta anni fa, impugnarono le armi e operarono una scelta di schieramento convinti della «bontà» della loro lotta per la rinascita della Patria.
Non s’intende proponendo l’istituzione di questo Ordine sacrificare la verità storica di una feroce guerra civile sull’altare della memoria comune, ma riconoscere, con animo oramai pacificato, la pari dignità di una partecipazione al conflitto avvenuta in uno dei momenti più drammatici e difficili da interpretare della storia d’Italia; nello smarrimento generale, anche per omissioni di responsabilità ad ogni livello istituzionale, molti combattenti, giovani o meno giovani, cresciuti nella temperie culturale guerriera e «imperiale» del ventennio, ritennero onorevole la scelta a difesa del regime, ferito e languente; altri, maturati dalla tragedia in atto o culturalmente consapevoli dello scontro in atto a livello planetario, si schierarono con la parte avversa, «liberatrice», pensando di contribuire a una rinascita democratica, non lontana, della loro Patria.
Solo partendo da considerazioni contingenti e realistiche è finalmente possibile quella RIMOZIONE COLLETTIVA DELLA MEMORIA ingrata di uno scontro che fu militare e ideale, oramai lontano, eredità amara di un passato doloroso, consegnato per sempre alla storia patria.”
e ancora
“L’articolo 2 prevede che tale onorificenza sia conferita:
a) a coloro che hanno prestato servizio militare per almeno sei mesi, anche a piu` riprese, in zona di operazioni, nelle Forze armate italiane durante la guerra 1940-1945 e che siano invalidi; a coloro che hanno fatto parte delle formazioni armate partigiane o gappiste, regolarmente inquadrate nelle formazioni dipendenti dal Corpo volontari della libertà, oppure delle formazioni che facevano riferimento alla Repubblica sociale italiana…”